Cosa significa prestito in sofferenza
Come si definisce un prestito in sofferenza.
Quando un consumatore ha l’esigenza di contrarre un prestito si impegna contestualmente a restituire nei tempi prefissati l’ammontare di denaro prestatogli dall’istituto di credito o dalla finanziaria. In altri termini, dovrà provvedere alla restituzione dell’importo (maggiorato di un tasso di interesse fisso o variabile), tramite il pagamento delle rate in scadenze prestabilite.
Può però capitare per svariati motivi (difficoltà economica, problematiche personali e familiari, perdita del posto di lavoro, ecc) che il consumatore non riesca a restituire il prestito secondo le modalità concordate e che il finanziamento venga catalogato dall’istituto di credito come “prestito in sofferenza“. Con questa definizione si intende quindi un prestito di difficile (o quasi impossibile) riscossione da parte dell’ente creditizio a causa della situazione di insolvenza del debitore.
Ma basta una sola rata non pagata perché un prestito sia definito in sofferenza? Ovviamente no. Perché l’ente creditizio arrivi a catalogare un prestito come sofferenza devono essersi verificate determinate situazioni precedentemente, come si cercherà di illustrare nel paragrafo successivo. Nel seguito dell’articolo verranno anche sinteticamente presentate le conseguenze per il debitore nel caso di prestiti in sofferenza.
Come si può arrivare ad un prestito in sofferenza.
Nel caso in cui un debitore non riesca a pagare una o più rate del prestito (o cominci a pagare in ritardo) verrà contattato dalla banca o dalla finanziaria per indagare sulle motivazioni del mancato pagamento. Se emerge che il consumatore si sta trovando in una momentanea situazione di indisponibilità economica, verrà concordato un termine (solitamente tra i 10 e i 14 mesi) in cui il debitore dovrà provvedere a regolarizzare la situazione (quindi pagare le rate arretrate e riprendere ad effettuare i successivi pagamenti in modo puntuale). In questo caso si parla di “incaglio bancario”, ovvero come emerge dal termine, una temporanea situazione di illiquidità ma che potrebbe ancora risolversi in tempi medio-brevi.
Se il consumatore non riesce comunque a regolarizzare i pagamenti nei tempi previsti, l’istituto di credito può catalogare il prestito come tra quelli a sofferenza. Perché si arrivi a questo stadio è dunque necessaria una comprovata situazione di insolvenza da parte del consumatore, il quale non è probabilmente in grado di restituire il denaro prestatogli. La principale differenza tra incaglio e sofferenza è infatti riscontrabile in merito al perdurare dell’inadempimento del debitore. Mentre nel caso dell’incaglio la situazione è grave ma potrebbe ancora essere temporanea e reversibile, quando si passa alla sofferenza la condizione di insolvenza del debitore è valutata come permanente dall’ente creditizio.
Conseguenze per il debitore derivanti dall’avere un prestito in sofferenza.
Qualora una banca o una finanziaria cataloghino un credito come sofferenza devono inviare al debitore comunicazione scritta con posta raccomandata, dove si richiede la restituzione di tutte le somme prestate in un tempo massimo di 15 giorni. Se ciò non avviene l’ente creditizio potrà procedere con un decreto ingiuntivo, ovvero tenterà di recuperare il denaro tramite vie legali. Inoltre, la situazione del debitore verrà segnalata alla Centrale dei Rischi (un sistema che contiene le informazioni sull’indebitamento della clientela, consultabile da tutti gli intermediari). La segnalazione impedisce di fatto al consumatore di poter chiedere credito ad altre banche o finanziarie, in quanto risulta un “cattivo pagatore”.
Chiaramente, una volta che il debito sarà stato integralmente saldato, sarà altre sì possibile la cancellazione della posizione di sofferenza dalla Centrale dei Rischi.
È importante sottolineare che se un debitore ritiene che la banca o la finanziaria abbiano catalogato il proprio prestito tra quelli a sofferenza in tempi troppo rapidi (non avendogli dato modo di sanare quella che era solo una situazione di illiquidità momentanea), potrà fare ricorso in tribunale e un giudice deciderà in merito.